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FIGISC: il settore si ricompatta almeno sulla necessità di fare massa critica per ristrutturare la rete.

Se c’è qualcosa di positivo da sottolineare in margine all’incontro che si è svolto la scorsa settimana tra le Rappresentanze dei Gestori e l’Unione Petrolifera è l’intendimento di procedere ad un patto (sui cui contenuti dovranno essere attrezzati i necessari tavoli tecnici, anche con la presenza, ad esempio, delle rappresentanze dei retisti) per andare dal Governo con proposte urgenti, nette e risolutive per l’indispensabile ristrutturazione di una rete distributiva, che, in queste condizioni di mercato, non può più reggere ulteriormente una qualsiasi sostenibilità economica.
Restano intatte, nella dura realtà quotidiana, tutte le motivazioni di un duro scontro tra le parti e con le singole aziende sui temi delle politiche di prezzo e di margine, sui mancati rinnovi degli accordi e delle condizioni economiche; uno scenario sulle cui responsabilità l’industria petrolifera non ha ritenuto tuttavia di fare nessuna autocritica, limitandosi alla dichiarazione – da respingere seccamente al mittente – che «tutti abbiamo sbagliato».

Ma sullo stato di crisi del settore le analisi – esposte dai Gestori con estrema chiarezza e con una precisa individuazione degli addebiti – non potevano che coincidere nella sottolineatura della gravità per un settore che ha perso progressivamente e contemporaneamente margini e mercato, per di più senza alcuna razionalizzazione di una rete distributiva che è da decenni del tutto fuori misura rispetto alla evoluzione della domanda ed ai parametri di giustificazione economica.
Tant’è che due giorni dopo l’incontro, intervenendo al V° Congresso della Fegica, il Presidente di Unione Petrolifera, Pasquale De Vita è ritornato sull’argomento con dura schiettezza, come riferisce Staffetta con le testuali parole: «Il problema è gravissimo, perché ora manca il lavoro. Abbiamo perso il 20 % delle vendite che non riusciremo a recuperare. Siamo tutti troppi e questo vale non solo per i gestori ma anche per le aziende e le raffinerie», aggiungendo che ora, in considerazione della crisi economica che si è abbattuta anche sul settore, non si può più girare attorno al problema della razionalizzazione della rete e bisogna ridurre drasticamente i punti vendita: «Abbiamo una rete che è il doppio di quello che servirebbe. Bisogna ridargli una dimensione più sostenibile.
Le tre componenti del settore, società, rivenditori e gestori, devono trovare una strada comune per compiere questo abbattimento massiccio con i minori danni possibili, ossia con un accompagnamento all’uscita con un sostegno».

Il dato delle perdite della rete di marchio – il 20 % dichiarato da De Vita [e che, se-condo i nostri calcoli, è già peggiorato di qualche ulteriore punto nel 2013] – coincide con le analisi che abbiamo sviluppato nel precedente numero di Figisc Anisa News [il n. 16 del 6 maggio], ma è evidente che, di questo tracollo, la responsabilità della crisi economica generale e della conseguente contrazione dei consumi pesa solo per una metà, mentre alla crisi delle gestioni – che hanno perso oltre il 40 % dei ricavi in pochissimi anni – hanno contribuito le discriminazioni dei prezzi di cessione tra rete ed extrarete ed il progressivo sacrificio di quote di margine imposto ai Gestori per misure di difesa mercato da una concorrenza alimentata dalla stessa industria petrolifera, che hanno falcidiato la sostenibilità economica delle imprese di gestione e ne hanno dilatato esponenzialmente l’indebitamento senza conseguire alcun risultato di tutela degli erogati.
Che si cominci oggi da parte dell’industria petrolifera (dopo avere a lungo omesso ogni intervento organico ed utile alle reali prospettive del sistema, dopo avere per-corso ogni sorta di scorciatoie perverse e fuorvianti rispetto alle autentiche ragioni della crisi, dopo avere dilapidato risorse in iniziative commerciali estemporanee con prezzi sottocosto che avrebbero consentito di chiudere, invece, qualche migliaio di punti vendita marginali con l’indennizzo per il Gestore) a prendere coscienza che da questa radicale crisi del settore non si esce a colpi di fasulla selfizzazione o di mera ghostizzazione degli impianti (anche se gli sfregi normativi sono stati già inferti) è certo tardivo.
Pure rappresenta un modesto passo in avanti di cui sarebbe controproducente non tenere il debito, quanto cauto, conto. Così come non si può tacere sul fatto che serve una «massa critica» per puntare a strumenti normativi ed a risorse per sollecitare il Governo e la politica ad intervenire subito sulla crisi del settore, senza ulteriori scivolate in provvedimenti astratti, inutili o dettati dalle solite convenienze mediatiche che già tanti danni hanno arrecato senza risolvere nulla. E su questo, sia pure solo su questo e giocoforza, il settore deve almeno ritrovarsi unito.
Gli scogli sono certo numerosi, basti pensare al fatto che sulle ipotesi di ristrutturazione bisognerà concertare dei percorsi condivisibili e tutt’altro che unilaterali con le aziende, che bisognerà accertare le risorse indispensabili per gli ammortizzatori di sistema, che non si può pensare che una ristrutturazione possa essere attuata con un minimo di equilibrio in assenza di una fase di moratoria alla proliferazione della rete.
Questioni tutt’altro che scontate e su cui si incontreranno certo resistenze e limiti di praticabilità.
Eppure si tratta di un percorso obbligato, senza il quale la rete dove ancora esiste il Gestore finirà per non avere più alcuna residua prospettiva: la questione centrale (e non solo da oggi per la verità, ma più che mai oggi con i numeri che sono sotto gli occhi di tutti) è che si sta perdendo il mercato, e che senza un drastico intervento sulla rete stessa anche tutto il resto (diritti, sostenibilità economica, accordi, contratti) finisce per non avere più alcun senso reale di fronte alla totale deriva del sistema.

Fonte: FIGISC-ANISA NEWS N.17_13